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Castello di Rivalta
ARTE SALVATA: IL DESTINO DEI CAVALLI DEL MOCHI DURANTE LA GUERRA. DA PIACENZA AL CASTELLO DI RIVALTA
Dalla piazza di Piacenza, a rischio bombardamenti, al Castello di Rivalta, luogo rifugio considerato inattaccabile che protesse persone e opere d'arte, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Immaginate una piazza immersa nel silenzio, interrotto solo dal suono secco degli stivali di pochi uomini al lavoro. Le due statue equestri di bronzo di Francesco Mochi, simboli di potere e di gloria, svettano ancora fiere sopra i loro piedistalli, ignare della tempesta che si sta abbattendo sul mondo.
È il 1944, e la Seconda Guerra Mondiale sta divorando l’Europa. Piacenza, con i suoi ponti strategici sul Po, è un obiettivo prezioso per gli alleati, perché collegano l'Emilia e la Lombardia con il nord Italia. Gli aerei da bombardamento anglo-americani sono vicini.
Per un attimo ci si illuse che la città potesse essere risparmiata. Piacenza sa che non c’è tempo da perdere. Le autorità locali, consapevoli dell’inestimabile valore artistico dei Cavalli del Mochi, decidono di agire prima che sia troppo tardi. Le statue, opera magistrale dello scultore Francesco Mochi, raffigurano Alessandro Farnese e suo figlio Ranuccio I Farnese, due protagonisti della storia del Ducato di Parma e Piacenza. Per oltre tre secoli, hanno osservato dall’alto la vita scorrere sotto di loro, ignari che la loro stessa esistenza poteva essere messa in pericolo da una guerra moderna e spietata.
Un’operazione ad alto rischio
L’iniziale idea e tentativo di proteggere le statue con fasci di legna e strutture di fortuna non bastò. Gli attacchi aerei si intensificarono, furono centinaia di bombe: Piacenza tremava sotto le esplosioni e il rischio che la piazza diventasse un cumulo di macerie cresceva ogni giorno. L’ordine arriva: i Cavalli devono essere salvati.
Ma come si spostano due giganti di bronzo, con i loro cavalieri fieramente scolpiti, senza arrecare danni irreparabili? Le operazioni sono delicate, studiate nei minimi dettagli. Macchinari e uomini lavorano senza sosta per rimuovere le statue dai loro piedistalli. Alessandro Farnese, per la prima volta dopo secoli, viene separato dal suo destriero. Il suo corpo si inclina, le gambe divaricate nel vuoto, mentre viene calato al suolo. Anche Ranuccio subisce la stessa sorte. La piazza, testimone silenziosa, assiste alla scena con un misto di sgomento e speranza.
I Cavalli vengono caricati su autocarri e trasportati lontano dal cuore pulsante della città. La loro destinazione? Il Castello di Rivalta, una fortezza sulle rive del Trebbia, protetta da mura antiche e da una posizione isolata. Qui, lontano dalle bombe e dagli orrori della guerra, troveranno rifugio.
"Non solo opere d'arte, ma anche tante persone a cui i sacerdoti dei Fratelli della Salle, con la famiglia dei Conti Zanardi Landi che seppe sempre da che parte stare, pur avendo amicizie e legami in tutta Europa, prioritariamente pensarono a chi avesse bisogno di essere protetto: alcuni bambini, indistintamente persone che fuggivano, senza stare a guardare se fossero tedeschi o persone legate ai partigiani. Il Castello era considerato un luogo inattaccabile, come una sorta di "porto franco", un "lasciapassare geografico" spiega il Conte Orazio Zanardi Landi, presidente del circuito Castelli del Ducato.
Il pericolo sfiorato e il ritorno trionfale
Solo pochi giorni dopo il loro trasferimento, il 12 luglio 1944, Piacenza venne colpita da un massiccio bombardamento. Il ponte stradale sul Po fu distrutto, e poco dopo anche quello ferroviario venne abbattuto. Se i Cavalli fossero rimasti in piazza, il loro destino sarebbe stato segnato. Ma grazie a un’azione tempestiva e alla dedizione di coloro che li hanno protetti, le sculture si salvarono.
Al termine della guerra, i Cavalli del Mochi lasciarono il grande giardino del Castello di Rivalta dove erano “sfollati” per tornare al loro posto d’onore in Piazza Cavalli. Il loro ritorno segnò non solo la fine di un periodo di paura e distruzione, ma anche la resilienza di una città che seppe proteggere la propria identità e il proprio patrimonio artistico.
Oggi, osservando le statue nella loro maestosità, pochi immaginano il viaggio incredibile che hanno affrontato. Ma la loro storia è una lezione senza tempo: l’arte non è solo bellezza, ma memoria, e proteggerla significa difendere l’anima stessa di una comunità.
Oltre ai Cavalli in Bronzo del Mochi furono custodi e messi in sicurezza al Castello di Rivalta anche preziosi incunaboli della Biblioteca Passerini Landi.
Vi invitiamo a visitare il Castello di Rivalta – e farvi mostrare dalle guide dove erano posizionati i Cavalli del Mochi – e recarvi poi nel cuore di Piacenza, dove la centralissima Piazza dei Cavalli deve il suo nome proprio alle due imponenti statue equestri in bronzo, opere del celebre scultore toscano Francesco Mochi (1580-1654). Le statue furono commissionate da Ranuccio I per celebrare la memoria del padre e consolidare l'immagine della famiglia Farnese nella città. La prima statua, raffigurante Ranuccio, fu completata nel 1615, mentre quella di Alessandro fu realizzata tra il 1620 e il 1625.
Nel Castello di Rivalta è rimasta un'altra opera attribuita a Francesco Mochi: un Cristo nudo, esposto nella sala dei paramenti sacri dell'area museale del castello. Si ritiene che lo scultore abbia realizzato quest'opera nello stesso periodo in cui lavorava alle statue equestri per Piacenza.
Intervista al Conte Orazio Zanardi Landi a cura di Francesca Maffini.
Testo autorizzato dal Conte Orazio Zanardi Land.
Foto copertina: Archivio immagini Comune di Piacenza
Castello di Rivalta
- Località: Rivalta, Comune di Gazzola, 14 km da Piacenza
- Indirizzo: loc. borgo di rivalta, 7, 29010 gazzola (pc)
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